(Intervento all'assemblea della  FAO - Roma 13-11-1996)

Scusatemi, ma debbo concentrarmi un pò, come gli atleti, in questa Olimpiade della solidarietà. E' difficile per me, quando mi trovo in mezzo ad un gruppo di persone, di personalità e specialmente in mezzo a gente così nobile e generosa come voi.

Debbo incominciare chiedendo scusa per il ritardo, perché tutto si è organizzato presto, tutti eravamo pronti, ma l'organizzazione delle misure di sicurezza, può darsi, hanno ritardato un po’ l'attività. In ogni modo, io ero protetto da una corazza molto forte, ancora più forte di quella usata lo scorso anno a Gerusalemme: è' lo scudo che possiamo chiamare "scudo dell'amore", se mi permettete di usare una parola poetica, che alcuni uomini mi hanno offerto per tutta la vita; è lo scudo della coscienza degna, lo scudo di sapere che quello che si fa è giusto.

La vostra presenza, e le vostre idee sono la massima protezione. So che sono qui assieme con coloro che rappresentano le principali organizzazioni di solidarietà con Cuba, che sono tante, e tutti mi hanno detto che in Italia il movimento di solidarietà con la nostra patria è uno dei più forti ed uno dei più organizzati. E che cosa posso dirvi? Non precisamente grazie, perché quello che voi fate vale molto di più di un semplice grazie.

"La fame, inseparabile compagna dei poveri, è figlia della disuguale distribuzione delle ricchezze e delle ingiustizie di questo mondo.

I ricchi non conoscono la fame. Il colonialismo non fu estraneo al sottosviluppo e alla povertà che oggi patisce gran parte dell'umanità. Neppure sono estranei l'offensiva opulenza e lo spreco delle società di consumo delle antiche metropoli che sottomisero allo sfruttamento gran parte dei paesi della terra. Per lottare contro la fame e l'ingiustizia sono morti nel mondo milioni di persone. Che cura al mercurio cromo andremo ad applicare perché entro venti anni ci siano 400 milioni invece di 800 milioni di affamati?

Quando il responsabile del Dipartimento Mezzogiorno, Mario Brunetti, mi ha invitato a questo seminario, ho pensato che il modo più utile per dare il mio contributo ai lavori era di tentare di inquadrare la questione meridionale nel più ampio contesto della ristrutturazione in atto del sistema capitalistico nazionale ed internazionale.

Lo farò senza alcuna presunzione dottrinaria (che sarebbe sciocca da parte mia), ma semplicemente sulla base di alcuni elementi a disposizione di tutti.

Vorrei innanzitutto ricordare che ci aiutano, nella nostra analisi, le opere degli eminenti studiosi (e politici) che si sono dedicati a questo immenso problema: da Antonio Gramsci a Gaetano Salvemini, da Giustino Fortunato a Guido Dorso, da Manlio Rossi Doria a Emilio Sereni, da Giorgio Amendola a Pasquale Saraceno.

Ma vorrei dedicare queste poche riflessioni soprattutto a Francesco Saverio Nitti, lucano, ministro dell'Industria nel governo di Giovanni Giolitti, negli anni definiti spregiativamente dai fascisti, dell'"Italietta".

Come è stato già detto all'inizio, noi siamo all'interno di un percorso di riflessione programmatica, con i tempi molto stretti, ritmati dall'evolvere della situazione politica e, allora, il problema di fare in fretta nell'acquisire nuovi elementi da spendere, non nell'immagine, ma nell'iniziativa concreta del Partito, è un problema che noi abbiamo. Questa è la ragione per cui abbiamo concentrato una serie di riflessioni monotematiche in uno spazio temporale molto ristretto, il che, naturalmente, ha anche portato nocu-mento alla qualità, ma l'abbiamo fatto proprio per acquisire in modo abbastanza rapido questi elementi di discussione e, tutto sommato, credo che l'operazione sia riuscita.

La prima riflessione che voglio fare, di tipo metodologico, che però ha un suo significato, è che in fondo noi, pur all'interno di queste occasioni monotematiche, stiamo discutendo di diverse sfaccettature e sempre dello stesso tema. Vale a dire: dall'As-semblea delle Lavoratrici e dei Lavoratori, da cui è partito questo percorso, al seminario sullo Stato Sociale, che abbiamo fatto in quest'aula, cito a caso, alla riunione proposta dai giovani comunisti di Roma sul problema del lavoro e dei lavori socialmente utili, al confronto con le compagne sullo stesso salario di cittadinanza, alla discussione che facciamo oggi sul problema del Mezzogiorno, si è trattato di diversi modi, diverse angolazioni per affrontare lo stesso grande tema, e cioè la grande contraddizione della società contemporanea non solo a livello italiano: la disoccupazione. Ed è di per sé significativo che mentre si discute di tutt'altro da altre parti, e lì non è questione di angolazione, ma di scelte di temi, noi invece continuiamo accanitamente a discutere delle lotte, e questo è un elemento positivo del percorso che finora stiamo facendo.

Credo che sia utile uno scandaglio, come faceva Brunetti nella sua introduzione, dei processi rapidissimi di trasformazione della società meridionale e della sua società politica. Credo che siamo già oltre lo scenario descritto in tutti questi anni, che è stato uno scenario di modernità come lo abbiamo definito senza trasformazione e democrazia. So-stanzialmente la domanda che mi pongo è la seguente: che cosa è suc-cesso negli anni '90, in che misura ha inciso il Governo Berlusconi, come hanno inciso le destre? A me pare che sono mutate, la morfologia dei poteri, i rapporti tra società politica, i referenti sociali. Porci questa domanda ci fa fare una riflessione molto stringente su quello che accade concretamente. Brunetti diceva, ed io sono d'accordo con lui, che cresce il divario economico-sociale e democratico di queste aree con il resto del paese.

Bisogna fare attenzione, perché a-desso si affollano tesi, anche a sinistra, per cui per il recupero del divario occorrerebbe un modello imitativo e perequativo. Invece non possiamo proporre un modello riproduttivo delle vecchie con-traddizioni del modello di sviluppo del nord; non si può pensare che il divario può venire solo sul terreno della crescita intesa tradizionalmente.

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