Come è stato già detto all'inizio, noi siamo all'interno di un percorso di riflessione programmatica, con i tempi molto stretti, ritmati dall'evolvere della situazione politica e, allora, il problema di fare in fretta nell'acquisire nuovi elementi da spendere, non nell'immagine, ma nell'iniziativa concreta del Partito, è un problema che noi abbiamo. Questa è la ragione per cui abbiamo concentrato una serie di riflessioni monotematiche in uno spazio temporale molto ristretto, il che, naturalmente, ha anche portato nocu-mento alla qualità, ma l'abbiamo fatto proprio per acquisire in modo abbastanza rapido questi elementi di discussione e, tutto sommato, credo che l'operazione sia riuscita.

La prima riflessione che voglio fare, di tipo metodologico, che però ha un suo significato, è che in fondo noi, pur all'interno di queste occasioni monotematiche, stiamo discutendo di diverse sfaccettature e sempre dello stesso tema. Vale a dire: dall'As-semblea delle Lavoratrici e dei Lavoratori, da cui è partito questo percorso, al seminario sullo Stato Sociale, che abbiamo fatto in quest'aula, cito a caso, alla riunione proposta dai giovani comunisti di Roma sul problema del lavoro e dei lavori socialmente utili, al confronto con le compagne sullo stesso salario di cittadinanza, alla discussione che facciamo oggi sul problema del Mezzogiorno, si è trattato di diversi modi, diverse angolazioni per affrontare lo stesso grande tema, e cioè la grande contraddizione della società contemporanea non solo a livello italiano: la disoccupazione. Ed è di per sé significativo che mentre si discute di tutt'altro da altre parti, e lì non è questione di angolazione, ma di scelte di temi, noi invece continuiamo accanitamente a discutere delle lotte, e questo è un elemento positivo del percorso che finora stiamo facendo.

Certo, non tutti i temi programma-tici si esauriscono sul tema dell'occu-pazione, ma essere partiti da questa angolatura per affrontarli tutti è, diciamo così - scusate il carattere desueto dell'espressione - il taglio di classe opportuno che vogliamo dare alla nostra riflessione.

Noi qui abbiamo affrontato, essen-zialmente, un aspetto. Io penso che abbia ragione Pugliese ed altri, a dire che quello che noi chiamiamo "lavoro socialmente utile" o è sbagliato o non è sufficiente a individuare quello che vogliamo dire. Penso che questo riconoscimento vada dato, che ci sia una spiegazione molto ovvia in ciò e cioè che siamo di fronte ad una cosa nuova e una idea nuova a cui stiamo tentando di dare forma e, quindi, stiamo tentando anche di dare un nome. Come dicevamo, o come a me è capitato di dire nel dibattito a proposito della svolta della Bolognina ormai tanti anni orsono, il nome della cosa è la cosa stessa. Quindi, è difficile individuare un termine soddisfacente dal punto di vista della identificazione concettuale prima che il concetto sia maturato, sia stato partorito ed anzi abbia già rafforzato il proprio organismo.

Ma è bene che ci ragioniamo attor-no. E' evidente che quando noi poniamo con forza, particolarmente per il Mezzogiorno ma non solo per il Mezzogiorno, un piano di Lavori Socialmente Utili, non ci riferiamo, e potrei dimostrarlo facilmente, alla terminologia in voga negli ambienti governativi e nei testi di legge. Non è solo una questione di attenzione alla forma, è anche una questione di at-tenzione alla sostanza. Quando, ad esempio, nel disegno collegato all'ultima legge finanziaria noi abbiamo criticato a fondo, proponendo un emendamento soppressivo, il fatto che il Governo giungesse a dire: "se non fai il lavoro socialmente utile io ti taglio la provvi-denza dell'indennità di mobilità o la fruizione della cassa integrazione", dicevamo proprio questo: tu Governo intendi il lavoro socialmente utile come una foglia di fico per giusti-ficare una erogazione che invece giu-stamente noi vogliamo presumere essere temporanea, quindi una forma di sostegno al reddito in un periodo di difficoltà' del lavoratore e dell'attività produttiva. Quindi, non è ovviamente quello che intendiamo. Ripeto, l'esempio dimostra che anche dal punto di vista pratico non è quello, anche se sono d'accordo con Pugliese, visto che siamo una forza politica e non siamo in un cenacolo di intellettuali, ci si può disinteressare concretamente anche di quel pezzo lì, cioè se i cassintegrati della Voxon vanno a fare le pulizie nella scuola di Roma è giusto o no e cosa ne è dei bidelli, e come vanno pagati e qual'è la loro posizione dal punto di vista professionistico durante il periodo di questo lavoro? e che cosa concretamente fare, qual'è la posizione sulla sanità, cioè c'è un problema sindacal-politico immedia-to, collegato all'esercizio e all'applica-zione di una legge che filosofi-camente e giuridicamente contestiamo, ma che pur tuttavia c'è, che ha degli influssi sulle condizioni dei lavoratori e dunque noi interveniamo. Ma non è questa la nostra proposta strategica, né dal punto di vista generale né dal punto di vista della situazione del mezzogior-no.

La nostra proposta strategica, io almeno così la intendo, deriva da una considerazione più di fondo. Diciamo che la crisi occupazionale sul finire di questo millennio è data da due grandi ordini di fattori: il fatto che per produrre le stesse merci ci vuole meno lavoro di tanti anni fa e a questo la risposta padronale è dunque "meno lavoratori", mentre la nostra risposta è la riduzione delle ore di lavoro a parità di salario; poi, però, c'è l'altro aspetto del problema, che va studiato più a fondo su cui ragiona Mazzetti, ci ragiona Revelli nel suo bel saggio nel libro di Ingrao e Rossanda e tanti altri economisti, ed è che per la prima volta ci sono dei limiti esterni non solo interni all'aumento della produzione, limiti di carattere ambientale e limiti di carattere sociale, la capacità del mercato di assorbimento delle merci così come sono state conosciute e fin qui prodotte è finita; è finito su scala mondiale per ciò che riguarda la merce principale, il volano dello sviluppo capitalistico, prima fra tutte l'automobile privata; è finita dal punto di vista del mercato interno. Non vuol dire che il capitalismo muore domani mattina o che non ci sia più bisogno di niente, ma è finita come prospettiva storica di sviluppo e gli elementi suoi di crisi sono già evidenti, palpabili e sotto i nostri occhi; a questo noi dobbiamo o non dobbiamo rispondere? Questo e' il punto.

Rispondere con una ipotesi strategica che riguardi l'oggetto della produzione, non semplicemente i rapporti di produzione le modalità di organizzazione del lavoro. Bisogna cominciare a pensare di rivoluzionare l'oggetto della produzione, a me pare che ci dovremmo situare su questo livello di riflessione teorica. Io penso che è questo il terreno di ricerca, e allora dobbiamo per l'appunto pensare non a lavori socialmente utili in senso generico, ma lavori concreti nel senso che producano degli oggetti, delle cose che sono fruibili collet-tivamente e non più solo individualmente, che quindi producano un benessere collettivo nella società, che siano valori d'uso prima e più che valori di sconto.

Come prima nell'oggetto della pro-duzione era incorporato un certo rap-porto gerarchico di classe e tra uomo e produzione, qui invece bisogna incorporare qualcosa di diverso, qualche cosa di alternativo rispetto a un modello di vita, ad un modello di società; questo è il punto. Ora definire volta per volta esattamente che cosa ciò significhi concretamente, ora e subito, non è facile, però si può cominciare dall'esempio che si fa-ceva, che poi è una metafora di tutta la situazione del mezzogiorno, che riportava prima Bertinotti, del risana-mento dei centri storici delle grandi città ma anche delle periferie, degli ambienti di vita.

Naturalmente questo non significa dare per scontato che è finito l'apparato industriale del mezzogiorno e non vedere invece nei processi di smantellamento industriali scelte coscienti, volute e dunque in quanto tali unilaterali.

C'è quindi un fondamento non solamente etico della difesa del proprio posto di lavoro, ma c'è un fondamento di tipo strategico, cioè una ribellione ad una liquidazione della attività produttiva appunto nella forma della finanziarizzazione e un collegamento invece con una possibile riconversione non è che sia poi così lontano. Adesso non lo so onestamente, perché non l'ho seguita nella sua interezza, se la soluzione pur di tipo compromissorio qui prima ricordata, realmente in Sardegna va nel senso desiderato, però a me pare che alluda ad un modo corretto di difesa di un preesistente apparato industriale produttivo, però con immissioni di elementi di innovazione del prodotto. E' la stessa cosa, la stessa discussione che stiamo cercando, pur con fatica, di fare anche per quanto riguarda lo stabilimento di Arese, nel senso che la mol-tiplicazione del numero di 164 prodotte non salvano i 6700 lavo-ratori dell'Alfa Romeo, come non si salvano quei lavoratori, se improvvisamente arrivasse uno e dicesse "domani cominciamo l'auto elettrica o l'auto ibrida o l'auto ecologica", ma se nella difesa di quell'apparato produttivo si innesta un processo di riconversione con le sue necessarie gradualità, che tiene conto quindi delle esigenze sociali e di un processo in cui si ha l'impulso del ruolo del territorio, del ruolo del cittadino, del ruolo del lavoratore. In questo modo forse ce la si fa, e comunque visto che in altro modo non ce la si fa, proviamo a battere questa strada e vediamone i risultati.

Ecco questo è il carattere della no-stra proposta eversivamente strategico, rispetto ai sistemi di produzione esistenti. D'altro canto, in altre occasioni ci sarà o non ci sarà una critica da fare all'esperienza del socialismo reale e questa critica al socialismo reale riguarda sempli-cemente il partito-stato, la burocratizzazione in quanto risultato delle forme di Stalinismo. Riguarda anche quello che Revelli chiama il meccanismo più interno, il nocciolo duro del sistema produttivo, dell'organizzazione del lavoro e dell'oggetto e della scelta del prodotto? A me pare che in un certo senso, rispetto al mezzogiorno, noi abbiamo una occasione che deriva dalla stessa arretratezza di questa parte del paese. Si tratta, per ricordare una famosa massima maoista, "da cosa cattiva si può' fare cosa buona".

Il mezzogiorno si presenta anche come un terreno da un lato più degradato dal punto di vista di società civile, dal punto di vista di rapporti democratici e dal punto di vista, diciamo così, delle culture e a volte anche del senso comune diffuso.

Però, da un altro punto di vista co-me esso si può presentare come un terreno di sperimentazione positiva di questo nuovo discorso. Allora io penso che in questa direzione ci dobbiamo buttare con molta forza, anche perché questa è l'unica prospettiva per evitare la deriva della richiesta del salario di cittadinanza e invece rivendicare una proposta di lavoro minimo garantito a cui collegare l'erogazione di un reddito adeguato e di un percorso formativo per ciò che riguarda l'assunzione dell'enorme problema disoccupazione giovanile nel mezzogiorno.

A me pare francamente l'unica soluzione, nel senso che si tratta non di inventare lavori inesistenti per giustificare la produzione di un reddito che comunque viene dato, ma di produrre qualcosa di reale, di necessario. Si tratta di individuare i bisogni nevralgici e su questi in-nestare un discorso possibile di organizzazione del lavoro e su questo vedere la concorrenza di tutti i vari fattori, per altro non solo di lavoro dipendente, ma anche di lavoro auto-nomo.

Le nostre proposte per il Sud devono considerare un trittico, riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, un piano di lavori in settori di pubblica utilità e lavoro minimo garantito. Ne discuteremo probabilmente con i nostri giovani compagni, anche perché questa questione riguarda direttamente il mondo giovanile.

Ecco io credo, senza nessuna pre-sunzione, che forse da questa nostra discussione, si può cominciare a costituire questo filo conduttore, il quale mi pare per altro in modo positivo di articolazione di linea, e su questa base di fondare una iniziativa del partito in modo articolato. Tutto sta nel vedere se siamo capaci di farlo, e direi che l'appunto fatto qui sulla qualità dei gruppi dirigenti vada accolto non con superficialità, ma come un concreto problema da cui dipende lo sviluppo del politico di massa.

Questo mi pare un grande problema e cerchiamo di risolverlo con gli sforzi che stiamo facendo sia centralmente che localmente. Direi che il problema che abbiamo nella nostra agenda mentale, che noi abbiamo di fronte, dobbiamo as-sumerlo in tutta la sua completezza senza retropensieri di battaglie politiche mascherate. Voglio spendere qualche parola sul problema delle authority, sollevato anche da Franco Giordano: su questo problema, ci sono fior di studi a livello internazionale, c'è' una esperienza anglosassone, c'è' una esperienza statunitense, c'è' una discussione di largo spessore. Ma non mi perderei pero' in un contrasto di chi dice si e chi no, anche perché' qui bisogna capire la parola esattamente a che cosa corrisponde, fermi restando, a mio parere, alcuni principi cardine e cioè che un'idea di lavoro, cosi' come abbiamo detto, che riguardano l'intero scenario meridionale, richiede un intervento ordinario, un consistente e determinante intervento pubblico, e che dunque ritorna in campo il problema di una programmazione centrale anche in forme innovative, rispetto alle esperienze degli anni '50, che ci sono state in Europa.

Però qui è indispensabile un intervento centrale, tanto più che non parliamo di cattedrali nel deserto, ma di un tessuto diffuso, in consonanza con le caratteristiche culturali del territorio, un tessuto di piccole e medie imprese, insomma di una dimensione di una iniziativa, diciamo così, più a misura d'uomo, più a misura di territorio; bé è evidente che qui c'è una competenza a livello locale e regionale, che costitu-zionalmente nel campo della piccola e media impresa è prevista.

Se pensiamo all'esperienza, intesa nella sua parte migliore dei distretti industriali e di aree di nuovo sviluppo all'interno del mezzogiorno, come una delle proposte più utili, io credo che c'è una diretta competenza della regione e non potrei immaginare un distretto industriale in Puglia guidato da Roma.

Questo discorso richiama una situazione di stato regionale, quale è all'interno della riflessione del nostro partito. C'è poi un problema di attivazione soprattutto dei soggetti sociali, ed è questa la questione su cui noi dobbiamo cercare di fare dei passi in avanti.

Dobbiamo dare vita ad una verten-zialità locale capace di individuare nei gruppi industriali locali privati, nell'ente locale, degli interlocutori e delle controparti per l'attuazione di lavori e per l'apertura di nuovi settori produttivi.

Questo è quello di cui abbiamo bisogno per arricchire questa condizione di oggi, per rendere quelle approssimazioni di linee meno provvisorie, sempre più aderenti alla realtà, perché senza queste esperienze è francamente difficile andare avanti.

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