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Credo che sia utile uno scandaglio, come faceva Brunetti nella sua introduzione, dei processi rapidissimi di trasformazione della società meridionale e della sua società politica. Credo che siamo già oltre lo scenario descritto in tutti questi anni, che è stato uno scenario di modernità come lo abbiamo definito senza trasformazione e democrazia. So-stanzialmente la domanda che mi pongo è la seguente: che cosa è suc-cesso negli anni '90, in che misura ha inciso il Governo Berlusconi, come hanno inciso le destre? A me pare che sono mutate, la morfologia dei poteri, i rapporti tra società politica, i referenti sociali. Porci questa domanda ci fa fare una riflessione molto stringente su quello che accade concretamente. Brunetti diceva, ed io sono d'accordo con lui, che cresce il divario economico-sociale e democratico di queste aree con il resto del paese.

Bisogna fare attenzione, perché a-desso si affollano tesi, anche a sinistra, per cui per il recupero del divario occorrerebbe un modello imitativo e perequativo. Invece non possiamo proporre un modello riproduttivo delle vecchie con-traddizioni del modello di sviluppo del nord; non si può pensare che il divario può venire solo sul terreno della crescita intesa tradizionalmente.

Ho anche la sensazione netta che si sta ridefinendo un vero e proprio patto scellerato tra la grande borghesia industriale del nord che ridefinisce al suo interno gerarchie anche attraverso compromessi negli assetti produttivi. Penso alla preminenza che ha Mediobanca e la famiglia Agnelli in questa gerarchia: una ristrutturazione di potere economico, finanziario ed editoriale. Il patto prevede la finanziarizzazione dell'economia meridionale nella società meridionale.

Queste trasformazioni comportano a livello politico non solo quello che abbiamo già visto, per usare un termine Gramsciano, il trasformismo classico delle classi dirigenti meridionali, ma anche nuove figure, nuove forme di rappresentanza politica, vale a dire un inedito blocco di potere della destra in tante regioni meridionali. Mi è più facile fare riferimento alla Puglia regione che conosco meglio. La destra non solo si è candidata a sostituire il vecchio blocco di potere democristiano e socialista costituitosi negli anni ottanta, a drenare risorse e prebende secondo uno schema classico, magari anche a costruire rapporti con la imprenditorialità meridionale se-condo una logica antica e seguendo i dettami del trasformismo, ma punta ad una operazione politica che è contemporaneamente di ricostruzione di una trama di relazioni e anche di crescita di un'egemonia culturale nella società.

Il tema del rapporto con l'imprenditorialità è molto forte nella ricostruzione di questo blocco di potere; tra l'altro è un'imprenditorialità molto singolare, un'imprenditorialità nel mezzogiorno persino penalizzata in questi anni da una logica di sviluppo fondata semplicemente sulla competitività di prezzo e sul terreno delle esportazione (è una imprenditorialità prevalentemente da mercato interno, piuttosto che da mercato estero) e che scarica questa difficoltà solo ed e-sclusivamente, più che in altre parti del paese, precarizzando, riducendo e contraendo fortemente i posti di lavoro. Ci troviamo di fronte ad un processo che è ancora più clamorosamente vistoso rispetto a quello del nord. Io credo che quello che sta accadendo concretamente nei processi materiali sia un'esasperazio-ne e modernizzazione del modello di sviluppo. Manca un'opposizione a questo progetto. Ho la sensazione che la sinistra moderata dentro questa ricostruzione di un blocco di potere cerca semplicemente di guadagnare posizioni, non contesta la costruzione del nuovo blocco di potere non si oppone radicalmente alla destra. E' terrorizzata dall'essere esclusa da questa nuova forma di mediazione del consenso.

In alcune realtà' urbane, cerca disperatamente, rispetto alla collocazione ed alla morfologia dei poteri, non di criticare e di contestare radicalmente l'assetto di quei poteri e la loro nuova articolazione, ma di definire una propria collocazione. Bisogna trovare lo spazio per definire l'opposizione e contemporaneamente anche un'ipotesi alternativa. Guardate alcune norme e procedure: intervento centralistico sottrazione anche di poteri democratici a quegli enti locali che avrebbero qualche interesse a gestire i processi nuovi dello sviluppo. Non è così per l'intervento di Dini, del libro bianco? Sono riproposizioni che non fanno i conti con il fallimento della legge 219. Anzi ne riproducono i vecchi modelli, perché ricostruiscono esattamente un blocco di potere, con l'ideologia della privatizzazione. Persino l'acqua. C'è un fenomeno di colonizzazione che fa i conti con quello che c'è' nel mezzogiorno, qui si tratta con i soggetti che si muovono nel territorio, spesso, con i poteri forti ed illegali.

C'è un rilancio in grande stile delle grandi opere, cosi' come e' stato definito concretamente durante il Governo Dini. Per questo io ritengo che si sia lavorato per costruire un nuovo sistema di potere e una nuova rappresentanza politica.

Occorre oggi un allargamento di scenario e la definizione di una politica alternativa. Proprio per questo occorre vedere le contraddizioni di Maastricht. Quell'impianto mostra oggi delle crepe. Esso prevedeva un espansione del mercato verso l'Est con l'invasione e la colonizzazione capitalistica di un area molto grande, magari utilizzando e ricorrendo alla forza lavoro al prezzo più basso. Ma questo impianto con una controffensiva sociale che si apre nel cuore dell'Europa, con una dislocazione politica nell'Est che tende a mettere in contraddizione esattamente quel tipo di politica, qualche crepa la mostra. Vogliamo contribuire adesso anche noi, dall'area del mediterraneo ad aprire il contrasto di fondo e a ricostruire una nuova gerarchia dentro quest'area? Credo che sia possibile. Il quadro non è così strutturale e così stabile.

Insomma io credo che dobbiamo comprendere quello che concretamente sta avvenendo, perché ci permette di articolare una politica nuova. Quali sono gli assi di questa politica nuova? In tutti gli anni '80 - dico che siamo oltre gli anni '80 - noi abbiamo assistito a deindu-strializzazioni e dismissioni della partecipazione pubblica. La nuova classe dirigente voleva avviare questo processo di modernizzazione del paese, governando il processo di espulsione della forza lavoro e alimentando il sistematico sman-tellamento di tutte le strutture del collocamento pubblico. Con una capacità di mediazione anche forte, di controllo e di intermediazione del consenso. Voleva drenare questa forza lavoro, verso il terziario e si è quindi avuta un'espansione ipertrofica del territorio che è lo spec-chio della debolezza del manifatturiero e dell'industriale nell'area meridionale.

E' stata questa la modernizzazione senza sviluppo e senza democrazia.

Oggi, questo processo lascia sul terreno le macerie. Da parte nostra è decisivo introdurre elementi di controtendenza. Quali sono? Non credo che nel mezzogiorno noi possiamo pensare ad un'idea di sviluppo in cui non ci sia anche un pezzo di ricostruzione di un sistema industriale compatibile con l'area meridionale. Un sistema industriale compatibile con la vocazione produttiva di questa parte del paese, anche per modificare la composizione demografica e di classe. Altrimenti qual'è il blocco attorno a cui facciamo riferimento per invertire una tendenza? Altrimenti su cosa poggia la nostra progettualità?

E bisogna puntare oltre che ad una nuova industrializzazione anche alla difesa di quel che resta del vecchio apparato produttivo. Sono strategicamente rilevanti tutte le straordinarie battaglie di resistenza sociale di questi anni. Da Pomigliano a Crotone. Dall'Ilva di Taranto alla difesa del polo chimico di Gela. Al-cuni assi di fondo della nuova industrializzazione possono essere i settori dell'agro-industria per l'agricoltura, ma anche industria tecnologicamente avanzata per evitare che processi di direzione strategica degli assetti produttivi di questo paese abbiano un centro nel Nord ed invece un utilizzo solo della forza lavoro e degli aspetti subalterni nel mezzogiorno. Penso alla tele-matica, alle comunicazioni ed al grande settore della ricerca.

A fianco di ciò vedo il tema dei lavori socialmente utili, il risanamento delle realtà urbane, il riuso, l'assetto idrogeologico, i trasporti, il decongestionamento delle grandi aree, il grande tema del risa-namento delle coste. Il piano per i lavori socialmente utili che vada nella direzione esattamente opposta proprio perché sottratta alla competitività di prezzo a quella che è invece oggi l'inveramento di questa idea nel mezzogiorno, la pratica reale. L'applicazione dei lavori socialmente utili nel mezzogiorno oggi è stata precarizzazione, espulsione mascherata di forza lavoro, governo della mobilità. In questa chiave viene utilizzata, una sorta di esternalizzazione di servizi forniti prima da organizzazioni dello Stato e che invece adesso, attraverso forme di precarizzazione, vengono appaltate ad aree esterne dello Stato medesimo. Contemporaneamente a ciò va combattuta la proposta dei differenziali retributivi e delle gabbie salariali.

La riconquista del potere forte d'acquisto del salario nel mezzogiorno è un passaggio che ha una valenza politica ed economica generale perché sancisce il livello di autonomia, perché rimette in moto una dinamica reale.

Concludo dicendo che la ricostruzione di un blocco sociale antagonista nel mezzogiorno non può partire se non si individua anche una grandissima centralità sul tema della formazione dei giovani. Per noi deve essere un terreno privilegiato, qualitativo oltre che quantitativo. Altrimenti qual'è la definizione del nostro blocco sociale? Tornano teorie per cui l'incremento di di-soccupazione viene svalorizzato nella sua drammaticità e nella sua valenza esplosiva dal fatto che adesso si scopre che i giovani hanno una vocazione familistica. Hanno cioè voglia di tornare in famiglia e di coltivare anche culture regressive e per questo non possono essere considerati disoccupati. Anche dal punto di vista culturale la nostra battaglia deve essere molto ferma e molto determinata.