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Intervengo nel dibattito nutrendo più motivi d'imbarazzo. In primo luogo credo di essere l'unico non-meridionale che ha preso la parola in questo dibattito, se si prescinde dal segretario che è intervenuto per motivi istituzionali. Lo dico per sottolineare un elemento critico di questa discussione e cioè se è ovvio che il problema meridionale va affrontato in primo luogo dai compagni meridionali, come facciamo a farlo diventare un problema nazionale senza che al dibattito su questo tema partecipi almeno il quadro dirigente nazionale dell'intero Partito? è un limite che bisognerà rapidamente superare.

Il secondo motivo di imbarazzo è legato al fatto che io non sono uno specialista di questioni meridionali. Questo, in qualche modo pesa: guardare alla questione meridionale dal Nord può significare assumere ottiche diverse e, comunque, evidenziare elementi diversi da quelli che altri compagni hanno sottolineato, ma senza avere il possesso pieno della materia.

Il terzo elemento di imbarazzo è motivato dal fatto che ho seguito con grande attenzione il dibattito, appun-tandomi le cose che mi parevano più significative dal mio punto di vista ma non sono riuscito, ovviamente, in questo spazio ristretto a metabolizzarle e a collocarle in modo organico nel mio schema di lettura della situazione nazionale.

Con questi limiti, cerco di sfruttare alcuni punti dei ragionamenti che i compagni hanno proposto.

Il primo è quello del "terremoto", di cui parlava Mario Brunetti nella sua introduzione. Io credo che questo punto, che è quello poi della geopolitica, vada tenuto fondamentalmente presente in tutta la nostra riflessione, sia per quanto riguarda l'aspetto della mondia-lizzazione dei mercati, sia per quanto riguarda l'aspetto della ristrutturazione/riorganizzazione del quadro politico conseguente alla fine dell'assetto internazionale che è stato chiamato della "Guerra Fredda".

Noi stiamo vivendo un processo di scomposizione e ricomposizione degli spazi complessivi dell'assetto europeo (e non soltanto europeo) ed è in questo quadro che vanno collocate la questione nazionale (il "terremoto") e le questioni specifiche del Meridione e anche di altre parti d'Italia, perché è l'insieme del nostro paese che viene sottoposto, da questi processi di ristrutturazione, di riorganizzazione, di ridefinizione degli spazi, a torsioni e a tensioni che hanno prospettive ed inclinazioni drammatiche.

Ora, diceva Mario Brunetti: questione del Mezzogiorno come grande questione nazionale e grande questione democratica nel contempo.

Io andrei avanti su questo filone di ragionamento dicendo che se sottoli-neiamo giustamente il fatto che la vecchia contrapposizione, il vecchio nesso tra questione meridionale e questione settentrionale si è venuto, negli ultimi tempi, arricchendo di tutti gli elementi che voi avete introdotto, per quanto riguarda il Meridione, ciò va fatto anche per altri elementi che riguardano l'altra faccia della questione meridionale, cioè, appunto, la questione settentrionale.

Nelle vostre, nelle nostre, riflessioni sul meridione, credo che questo aspetto vada tenuto presente perché le due cose sono strettamente collegate. Credo che anche nel nostro partito si sottovalutino parecchio.

C'è stato un sondaggio d'opinione alcuni giorni fa. I giornali nazionali ne hanno dato scarso rilievo, un trafiletto, e forse vi è sfuggito. Il tema era quello del federalismo, che Mario Brunetti toccava citando Gramsci e che noi potremmo ritoccare partendo dai democratici dell'800 e risalendo attraverso Gramsci, anche a Togliatti e, quindi, ponendo il problema del federalismo non come estraneo alla nostra tradizione. Pur nella netta distinzione dal federalismo inteso in senso reazionario, nel senso leghista, per intenderci. La risposta dava questo dato: che esiste oltre il 50% degli intervistati al Nord che si dice disponibile ad una ipotesi federalista e che esiste un oltre 27% che nel Nord-Est si dice disponibile ad un processo secessionista.

Ciò vuol dire che più 1 su 4 (anzi, quasi 1 su 3) dei cittadini che ogni giorno io incontro per la strada, è di-sponibile a operazioni di questa natura. In rapporto a questo fatto vi chiedo cosa significa, per voi, territorializzazione della produzione e del consumo (è una formula, mi pare, che avete usata). Perché nel Nord-Est del Paese una logica di questo genere alimenta il secessioni-smo, alimenta una concezione che spinge ad andare per proprio conto e a separarsi dal resto del paese e a farlo drammaticamente, non soltanto nei rapporti con il Sud d'Italia, ma anche nei rapporti con l'Ovest d'Italia.

Per esempio è di questi giorni una reazione scomposta delle forze economiche e sociali e degli stessi pubblici poteri di una parte del Nord-Est, nei confronti di una avance della Fiat, che intendeva entrare nel controllo dell'autostrada Serenissima, per la parte che si prolunga anche fino a Trieste. La reazione dei potenti del Nord-Est è stata spietata dicendo che la penetrazione del capitale torinese in quell'area, ridurrebbe le possibilità di sviluppo autonomo di questa parte del Paese. Lo indico soltanto come esempio, per dire di una con-traddizione che si va accentuando tra pezzi d'Italia, tra Nord e Sud, tra due parti del Nord.

Credo che sia uno dei terreni di fondo sui quali noi dobbiamo tentare di condurre avanti la nostra analisi, perché questa conflittualità crescente, da latente sta diventando, appunto, evidente e può essere interpretata in vari modi, ma comunque ci parla di una questione che diventa centrale sotto l'altro profilo che toccava prima Mario Brunetti e che veniva poi ripreso da Bertinotti: quello della democrazia e, insieme, della questione dello Stato.

A me pare, che la globalizzazione dei mercati renda sempre più inconsi-stente, empiricamente e non solo teoricamente il ruolo dello Stato nelle decisioni economiche e sociali, mentre viene sempre più affermandosi il ruolo di alcune "regioni" come autentici attori sul mercato, laddove i veri protagonisti sono ormai i sistemi di impresa, che si collocano e si esprimono tanto nelle relazioni tra diverse "regioni" quanto nelle relazioni verso l'estero.

E ciò avviene proprio nel momento stesso in cui il Sud è uscito (mi pare che lo documentino i dati delle statistiche più recenti) dalle regioni esportatrici della nostra nazione. Prima ,infatti, il Sud era un'area esportatrice 'perché sostenuta dall'industria di Stato e dalle relazioni con l'Est del "socialismo reale", mentre ora si viene affermando con grande capacità esportatrice tutta un'altra parte del nostro Paese, in particolare il Nord-Est, ma non soltanto quello, ben s'intende, perché quest'area scende giù lungo l'Adriatico, verso le Marche e verso la Puglia. E con l'esportazione controlla il problema dell'occupazione, perché senza questa enorme capacità esportatrice, legata alla congiuntura internazionale, alle contingenze in questa area, le tensioni non sarebbero certo identiche a quelle che voi avete descritto per le regioni del Sud, ma, comunque, certo le tensioni sarebbero consistenti anche nei nostri territori.

Ora, senza la presenza dell'Est europeo, queste regioni non avrebbero la spinta che le caratterizza, non riuscirebbero a tenersi sul mercato comunitario, viceversa esse possono affermarsi perché ormai si stanno facendo diret-tamente protagoniste di relazioni esterne verso un mercato enorme che si sta aprendo in quella direzione e che è allo stesso tempo mercato e sbocco della produzione e luogo in cui procurarsi forza lavoro a bassissimo prezzo. E questo pone di nuovo un problema nelle relazioni tra il Nord e il Sud del nostro Paese, perché tendenze strutturali di questo genere spingono gli imprenditori, ma spingono poi anche le istituzioni, a guardare sempre più verso il Centro Europa e verso il Nord Europa e a col-legarsi con essi sulla base della crea-zione, che è in progress, che non è ancora definita, che è sicuramente reversibile: tutte le cose che sono state dette prima, ma che segna, comunque, una tendenza di mercati omogenei e su essi di strutture istituzionali che considerano sistematicamente il Sud area persa, area staccata, qualche cosa, per dirla con le parole di Benetton, che va lasciata perché può reggere la concor-renza del Nord Africa, ma che è una palla al piede per le aree sviluppate che vogliono reggere la concorrenza con l'Europa continentale.

Certo, può essere espressione di un ragionamento di singoli, anche se di singoli significativi ed influenti come il signore che ho ricordato, ma, appunto, se si raccordano singoli settori di classi dirigenti imprenditoriali con masse, perché di masse ormai si tratta, disponibili alla prospettiva secessionista, allora il quadro del resto d'Italia che nelle nostre riflessioni sul Mezzogiorno dobbiamo tener presente, si fa profon-damente più complicato.

E' perciò indispensabile su questo terreno fare quello che ci veniva criticamente suggerito da Valentini e, cioè, riuscire a tessere nella nostra pratica organizzativa di partito, nelle nostre presenze istituzionali a livello europeo, di parlamento italiano, di regioni, una connessione continua che ci consenta di scambiarci informazioni, dati, elementi, opinioni che si misurino con i processi reali; quei processi, che nella discussione di questa mattinata ho sentito a volte lontani, perché siamo spesso più propensi nelle nostre riflessioni a guardare agli schemi, alle ipotesi, agli ideali e molto meno propensi, invece, ad affrontare processi bruti, materiali, che però rischiano di travolgerci.