Nello scenario politico che si apre, la questione del Mezzogiorno diventa centrale nella prossima conferenza programmatica nazionale.

Per questo, già oggi, c'è da chiedersi se con i lavori socialmente utili possiamo determinare un nuovo e diverso modello di sviluppo. Questo non è sufficiente.

Sgombro il campo da equivoci, di-cendo che in Sardegna abbiamo proposto un referendum regionale attraverso il quale chiediamo che un terzo delle risorse disponibili, circa 1000 miliardi, per i prossimi 10 anni vengano utilizzati per un piano di lavori socialmente utili. Questo, però, non è sufficiente perché non possiamo prescindere, come diceva Brunetti nell'introduzione, dalle condizioni materiali del Mezzogiorno, dalle grandi carenze infrastrutturali, dai processi di internazionalizzazione dell'economia.

Per fare un esempio, cosa diciamo sulla questione della tutela degli im-ianti industriali nel Mezzogiorno - penso alla realtà del Sulcis e dell'inglesiente in Sardegna - che è certamente una questione economica e sociale, ma diventa anche una questione culturale e democratica perché con la liquidazione di questi impianti si azzera la cultura e la storia di una parte significativa del movi-mento operaio del Mezzogiorno?

E poi, se scendiamo più nel concreto, c'è la questione dei trasporti (che per la Sardegna significa continuità territoriale); la questione energetica e, quindi, il problema della metanizzazione perché un nuovo modello di sviluppo nel Mezzogiorno può determinarsi soltanto sul presupposto che vi sia energia pulita e a basso costo e non è più com-rensibile che vi sia una regione come la Sardegna che non abbia il metano; la forestazione produttiva collegata alla domanda su chi lavora il legno, su quali trasporti si realizza la commercializzazione e qual'è la sua competitività sul mercato italiano ed europeo; il problema dell'ambiente e la difesa del territorio come elemento indispensabile di un nuovo intervento sul problema della difesa dei parchi naturali e della salvaguardia idrogeologica del territorio. Ecco perché la proposta dei lavori socialmente utili è una ipotesi importante ma non decisiva per far leva su un nuovo modello di sviluppo. Noi ci troviamo, infatti, di fronte al fallimento del vecchio intervento nel Mezzogiorno basato prevalentemente sull'assistenzialismo, sulla distruzione selvaggia delle coste del Sud, sull'aggressione all'ambiente che ha modificato anche l'ecosistema: partendo da queste constatazioni, ora che il vecchio intervento straordinario nel Mezzogiorno non c'è più, abbiamo bisogno di un'altra idea di intervento nel Sud che, facendo tesoro della lezione che ci viene dai disastri che il vecchio sistema ha prodotto, ricostituisca le condizioni per un nuovo sviluppo che poggi sulle potenzialità umane, ambientali, culturali del meridione per costruire un progetto autocentrato di sviluppo determinando la possibilità di rendere anche gli impianti industriali del Sud competitivi sul mercato italiano ed europeo. Allora, la questione meridionale deve diventare nazionale per non correre il rischio di nuove "Reggio Calabria"; dobbiamo essere in grado - come diceva Brunetti - di collegare le grandi questioni del lavoro e della occupazione al problema di una diversa idea dello sviluppo del Mezzogiorno dove si gioca una grande battaglia che non può essere solo delle regioni meri-dionali, ma una battaglia nazionale che si intreccia su tre punti: una riforma fiscale che riproponga la questione di una nuova distribuzione delle ricchezze e l'introduzione di una patrimoniale che colpisca la rendita e recuperi le risorse per investirle nel Sud; la riqualificazione della spesa pubblica; una riforma democratica dello Stato che definisca un diverso rapporto fra Stato-regioni-autonomie locali.

Su questo possiamo costruire un percorso utile per far si che il problema del Sud diventi veramente un problema nazionale perché poniamo concretamente l'indicazione di un diverso sviluppo.

Su questo terreno è possibile trovare anche il nesso della collocazione del Mezzogiorno in Europa, il cui ragionamento, peraltro, merita un diverso coordinamento tra i gruppi parlamentari europei, nazionali e regionali.

Uno sforzo comune di elaborazione, cioè, perché dentro le politiche comunitarie bisogna individuare il nodo del rapporto con il Mezzogiorno per leggere i processi di marginalizzazione.

La Sardegna ha un problema di questo genere che coinvolge anche la Corsica e pone la necessità di un progetto europeo che tenti di invertire questo processo. Cosa questa che la Francia sta facendo, ma che trova difficoltà ad andare avanti nella linea del governo italiano.

C'è, dunque, per noi, l'urgenza di mettere meglio a punto la nostra proposta. Passi avanti si sono fatti in questo periodo con la costituzione del Dipartimento Mezzogiorno; alcune iniziative sono state assunte anche a livello parlamentare in occasione della "finanziaria", ma bisogna andare oltre, recuperando nazionalmente incertezze e ritardi.

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