Sono convinto che una sinistra antagonista, comunista, non riuscirà a contrapporsi, globalmente e strategicamente, allo "spirito" di Maastricht, se non rifletterà sul rapporto tra Europa (processo di costruzione europea) e popoli della "periferia".

In questo tornante decisivo si inserisce una riflessione politica sul ruolo del Mezzogiorno nel Mediterraneo. Non a caso, infatti, le forze neoliberiste (esterne ed interne al governo Prodi), i poteri economici e finanziari dominanti, individuano una funzione del Sud d'Italia, all'interno dei processi di globalizzazione, come uno dei poli di un modello di sviluppo duale. Il disegno è di fare del Mezzogiorno una specie di Malesia, imponendoci il modello sud/est asiatico; non più, come in fasi precedenti, riserva di forza/lavoro, né mercato di sbocco, ma "zona franca" per i settori produttivi meno innovati, con grossi processi di devastazione territoriale. Industria "nera", uso del territorio come base di una nuova accumulazione, processi di militarizzazione: il modello, pur nelle differenti versioni progettuali, è questo. Ad esso si collega una diffusa precarizzazione dei rapporti di lavoro (stagionalità, caporalato di massa, veri e propri segmenti di lavoro schiavistico, "gabbie salariali", con una impostazione addirittura prekeynesiana dello stesso ministro Treu, che sembra ancora considerare la disoccupazione uno "squilibrio" del mercato del lavoro).

Lottare per il lavoro nel Sud in particolar modo, non può prescindere, allora, dal ripensare, anche molto radicalmente, lo stesso modello di sviluppo, senza ricercare "nicchie" antistoricamente keynesiane al suo interno. Occorre fare emergere, in tutta la sua corposità, materialità, conflittualità, una "nuova questione meridionale" da un punto di vista che sia insieme di classe, di autorganizzazione sociale, di totale democratizzazione sociale. Il cosiddetto "meridionalismo minimale", che ha pervaso largamente anche le forze della maggioranza governativa, è strada avventuristica e, nello stesso tempo, continuista con il vecchio regime consociativo.

Scelgo un solo asse di ragionamento, che mi pare prioritario: le sinistre antagoniste devono progettare un Sud inserito all'interno di obiettivi forti di smilitarizzazione e denuclearizzazione del Mediterraneo, con la ricerca di nuove ragioni di scambio e nuove aree economiche integrate tra tutti i popoli mediterranei. Se non si rovescia, infatti, la logica di Maastricht, si finisce con l'accettare passivamente, automaticamente, l'idea di cooperazione fortemente liberista contenuta nella realizzazione della "zona di libero scambio nel bacino mediterraneo" (definita, a fine novembre 1995, a Barcellona dai rappresentanti dei 15 paesi dell'Unione europea e dai 12 rappresentanti dei paesi non comunitaria che si affacciano sulle rive del Mediterraneo)

Al di là, infatti, degli obiettivi dichiarati ("costruzione di una regione economicamente forte nel Mediterraneo"), che possiamo assumere come un terreno di "sfida" e di iniziativa, non può a noi sfuggire che oggi, una "zona di libero scambio", allo stato attuale, è una zona di scambio ineguale, coerente con una politica estera europea di tipo imperiale e "modernamente coloniale" nei confronti dei paesi del bacino del Mediterraneo.

L'unica vera novità che scaturisce da Barcellona è che anche l'Europa "carolingia" si accorge che non è sufficiente una politica di puro contenimento militare nei confronti delle popolazioni rapinate e diseredate delle frontiere meridionali. Barcellona lancia, quindi, una politica di "contenimento sociale". Necessaria perché anche l'Europa carolingia è preoccupata delle convulsioni e delle destabilizzazioni di alcune aree (Algeria ed Egitto in primo luogo), causate sostanzialmente dal fallimento della cooperazione libero-scambista ex Gatt nonché dallo spostamento dell'interesse economico del colosso tedesco verso le aree di mercato dell'Est europeo; fattore che ha orientato verso quelle aree i flussi economici europei funzionali alla conquista di nuovi mercati e di un apparato produttivo a cui si ricollega una forza/lavoro molto professionalizzata ed a basso costo.

L'asse fondamentale della nostra iniziativa va individuato in politiche alternative per quanto riguarda l'immigrazione, l'agricoltura, la cooperazione.

Ha ragione, infatti, "Le Mondo Di-plomatique" che, nel novembre 1995, ha scritto che a Barcellona è nata una "politica del minimo comune denomi-natore, dove i volumi finanziari restano mediocri di fronte ai bisogni e, non a caso, i prodotti agricoli, curiosamente, non fanno la loro comparsa sul tavolo dei negoziati". Sulle sponde meridionali del Mediterraneo l'Europa di Maastricht conti-nuerà a distruggere i pur modesti e fragili modelli di sussistenza locali, sacrificati brutalmente dai "programmi di aggiustamento" del FMI, creatori, essi stessi, di povertà e disgregazione, anche attraverso il cappio al collo del debito estero condizionato all'applicazione delle violente e devastanti ricette liberiste.

Oggi si dispiegano appieno le conseguenze, sugli assetti sociali, di questa nuova fase della competitività totale imposta dall'internazionalizzazione del mercato capitalista. Una "zona di libero scambio" nel bacino del Mediterraneo, prevista dalla conferenza di Barcellona, è rapina imperialista assoluta: nuovi mercati verranno ad aprirsi per le esportazioni europee, senza contropartita alcuna. La zona di libero scambio bloccherà ogni possibilità di sviluppo interno e, per quel che ci riguarda direttamente come sinistra antagonista europea, ogni possibilità di proficui e democratici rapporti Sud/Sud.

Nostro compito, allora, è portare il Mezzogiorno in Europa per produrre una critica radicale e materiale, non puramente propagandistica, delle forme, dei contenuti, dei valori di questa inte-grazione europea, Il Mezzogiorno d'Italia e il Mediterraneo saranno altrimenti, l'altra faccia della medaglia dell'Europa liberista, ad essa subalterna e funzionale. Qui è anche il nocciolo duro della crisi grave del sindacalismo meridionale; così come della catastrofe del pensiero libe-raldemocratico: perché il Mezzogiorno è metafora della crisi generale di sistema, dei modelli di ristrutturazione del capitale all'interno della sovrapproduzione.

Insomma, piaccia o no al Governo Prodi, che sembra puntare ad una diffusa precarizzazione (appena temperata da una pallida " solidarietà"), il Mezzogiorno allude al grande nodo dello sviluppo, della cooperazione internazionale non liberista, dell'organizzazione del conflitto operaio e sociale anche contro lo scambio ineguale che i meccanismi imperialisti impongono. La ricostruzione di un segmento di teoria e di pratiche comuniste passa anche attraverso l'assunzione della dimensione internazionalista, inelu-dibile nel moderno conflitto anticapitalista, all'interno del conflitto operaio.

Occorre, inoltre, con un'iniziativa politica e progettuale immediata, "ripensare" completamente l'attuale modello di cooperazione europea ed italiana. Se essa non viene "rifondata" nei suoi criteri di fondo rischia di di-entare strumento (consapevole o inconsapevole) della deriva neocoloniale in atto. Una nuova "cooperazione" non può, infatti, pre-scindere dall'indagine sulle forme, i modi, i mezzi, i meccanismi dello "sviluppo" che l'Europa di Maastricht impone. L'associazionismo cooperativo più critico e consapevole può trovare una spinta importante nel riemergere di una cultura meridionali-sta democratica e di classe. Non mancano terreni immediati di scontro politico e programmatico, se guar-diamo alle gravi distorsioni generate dall'impatto economico dei cosiddetti "aiuti di emergenza" sui mercati locali mediterranei. Basti pensare che, spesso, vengono inviati grandi quantitativi alimentari a quei paesi che di quei prodotti alimentari sono produttori; facendo crollare i prezzi e causando l'abbandono di quelle stesse coltivazioni Una cooperazione che punti a costruire regioni di scambio eque, non può prescindere dai modelli produttivi (soprattutto agricoli, ma non solo) locali, sia perché deve tener conto delle diversità produttive che esistono tra paesi differenti dello stesso bacino Mediterraneo, sia perché deve essere rispettosa dei modelli di vita, dei costumi, dei modelli culturali. Ha ragione Amoroso quando spiega che compito delle sinistre critiche, nell'ottica della cooperazione Sud/Sud, dovrebbe essere quello di lavorare all'organizzazione di aree regionali integrate, che consenta lo stabilirsi di "cerchi della solidarietà", al loro interno capaci di trasformare le asimmetrie oggi esistenti nel contesto della globalizzazione (tra i "molti nord" e i " molti sud") in nuove simmetrie. Questo significherebbe lavorare sulle possibili sinergie produttive tra le due sponde del Mediterraneo e tra aree specifiche, "basate sul potenziamento delle rispettive comunità e mercati locali e regionali", Una ricostruzione della "regione Mediterranea", dall'Europa del Sud, al Medio Oriente, all'Africa settentrionale, all'area balcanica, da collocare dentro il processo di integrazione europea, sarebbe la vera contestazione strategica e pratica (non puramente propagandistica) della logica mercantile di Maastricht.

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