Lettera, sui problemi della povertà, inviata al Vescovo di Cassano da Parte di Mario Brunetti.

Eccellenza Chiarissima,

Henri Frederic Amiel ci segnala simpaticamente che la “sorpresa” è come l’uovo, “da esso può uscire un serpente, invece di una colomba”. A me è andata bene ascoltando il Suo intervento di celebrazione del “prete Francesco Maria Saverio Pizzulli”. La “sorpresa” si è concretizzata in una colomba messaggera di pace: un messaggio opportuno in questi giorni che i bagliori della “terza guerra mondiale” deflagrano al di là del mare nel vicino Oriente. La guardavo fisso mentre Lei parlava per capire, cogliere il senso della Sua presenza in una zona come quella dell’Alto Jonio che, sul terreno economico, rappresenta uno “spaccato” del processo capitalistico di produzione (l’osso e la polpa) e, sul terreno politico e sociale costituisce il punto limite di un degrado economico e culturale in cui, passività e qualunquismo, sono gli elementi caratterizzanti di un gioco alle “apparenze”, attorno a cui si costruisce un modo di vivere drogato e subalterno  che non lascia presagire nulla di buono;

anche perché, la sconvolgente crisi, di cui non se ne intravede la fine, ha spappolato l’economia povera fondata sulle pensioni dei nonni ; ha distrutto lo stato sociale; ha ridotto al lastrico le piccole e medie aziende; ha proletarizzato il ceto medio; ha reso  esplosiva la disoccupazione dei giovani, impoverendo ulteriormente le comunità con la partenza di qualche laureato verso l’estero. C’è necessità di uno scatto per uscire dalla Caporetto che ci travolge.

La fissità del mio sguardo su S.E., mentre parlava, impostomi un silenzio interiore che mi astraeva dai mormorii in sala, mi consentiva di non perdere nulla delle sue parole, della sua mimica, delle sue argomentazioni. Un silenzio profondo segnava il suo dire.  Io rimanevo inchiodato sulla seggiola e tentavo di cogliere in maniera completa ogni parola, ogni gesto, ogni passaggio, ogni sottolineatura, ogni pausa, ogni espediente “scenico” per attrarre l’attenzione di chi, bisbigliando, faceva commenti. A metà del Suo intervento, un’intima constatazione si affacciava nella mia mente: “questo è proprio un gran figlio di…Dio!”.

Non è il mio un giudizio blasfemo o un atto impuro che richiede il perdono; non è neppure una bestemmia di Garibaldi: è la constatazione di un dato di fatto maturato nel corso di una iniziativa in cui, opportunamente Ella, parlando di don Pizzulli, ha assunto come filo conduttore del Suo ragionamento, il recupero delle forze migliori della zona per partire da una   identità collettiva ed operare per sollevare le sorti di quella realtà, puntando sulla cultura come antidoto al degrado.

E’ la mia stessa idea e, per questo, ritengo il Suo intervento e (da quello che mi dicono) la Sua “mobilità”   nei comuni della Sua Diocesi, un fatto positivo. La cultura è il segreto. Ovviamente, parlo di una cultura  non “aristocratica”, chiusa in sé, che affida ad “intellettuali - pagliette”   il  ruolo di mediazione tra potere e popolo. Io credo, Eccellenza, che al Suo punto di analisi vada aggiunta una sottolineatura: la necessità che le generazioni protagoniste di un cambiamento, non debbano concepire la cultura come “sapere enciclopedico”, in cui l’uomo non è visto “se non come forma di recipiente da riempire di dati mnemonici”, di fatti bruti e sconnessi che dovranno poi essere casellati nel cervello “come nelle colonne di un dizionario”. Questa forma di cultura non aiuta. Serve a nascondere la storia vera, legata al popolo che trova linfa nelle “radici”, per progettare una ripartenza. L’Alto Jonio e, poi, scendendo, giù giù  verso Sud, da Sibari a Crotone sino alle zone grecaniche della provincia di Reggio Calabria, è parte di una storia interessante, largamente ignorata: i grandi avvenimenti contro le usurpazioni delle terre, le radici platacesi di Gramsci, il cattolicesimo  cooperativo di don Carlo  De Cardona, l’esempio rivoluzionario degli italo-albanesi, alleati di Pisacane, che hanno costituito la componente repubblicana del Risorgimento e che hanno a carico due attentati al Re borbone, prima di Angelo Basile e, poi, di Agesilao Milano . Chi conosce dei nostri giovani di oggi – e non per colpa loro – la storia della nostra realtà, rigorosamente assente nei libri di testo e nei percorsi scolastici? Anche quando i nostri studenti hanno grandi capacità, essi navigano a fatica in questo mondo “grande, terribile, complicato”, che non gli dà gli strumenti culturali per valutare criticamente il passato e guardare con positività al futuro. Il nozionismo scolastico, quando va bene, può servire al più a creare un certo intellettualismo, bolso e incolore,  ( fustigato da Romain Rolland). Lo “studentucolo”  che impara a memoria o l’”avvocatuzzo” che è riuscito a strappare uno straccetto di laurea alla svogliatezza, si sentono “superiori” rispetto ad altri, sono l’evidente esempio che questa non è cultura: è pedanteria; non è intelligenza, ma intelletto. Come avrà certamente notato, Eccellenza, il mio ragionamento segue un filone organicamente gramsciano di cui sovente opero una parafrasi del suo pensiero. Lo faccio, non solo per evidenziare la straordinaria attualità della sua elaborazione e sottolinearne il valore del suo essere “uomo” di Plataci; ma soprattutto, perché questa tematica definisce anche i nostri comportamenti, nel senso che la necessità impellente, oggi, è quella di un’azione pedagogica che aiuti i giovani alla formazione di uno spirito critico: e’ attraverso la critica della realtà capitalistica che si forma la coscienza matura; e critica vuol dire cultura e non già evoluzione spontanea. Critica vuol dire, in buona sostanza, la   coscienza   dell’”io”, che ha come fine la cultura. “Conoscere se stessi vuol dire essere se stessi, vuol dire essere padroni di se stessi, distinguersi, uscire fuori dal caos”. E non si può conoscere ciò, se non si riconosce anche agli altri la loro storia, il susseguirsi degli sforzi che essi hanno fatto per essere ciò che sono, per essere la civiltà che hanno creato e alla quale non vogliono sostituire la nostra; vuol dire avere nozione di cosa è la natura per conoscere le sue leggi, per conoscere le leggi che governano lo spirito. E’ giusto imparare senza perdere di vista lo scopo ultimo che   è “meglio conoscere se stessi attraverso gli altri e gli altri attraverso se stessi”.

Si era alla fine del Suo dire, quando, col cappotto in mano, si guardava già l’uscita e, all’improvviso, Ella, ha giocato il “carico” più pesante: ”stiamo entrando nella fase post-umana” e, con fare più solenne scandiva ”avete capito ciò che ho detto? Stiamo entrando in una fase post-umana”; un’espressione certamente non usuale, ma quel “post” e quell’ ”umana”, legati assieme, facevano tremare le vene e i polsi. L’istinto mi spingeva ad intervenire  ( i resti delle vecchie liturgie ci seguono sotto traccia), “per non lasciare l’argomento in mano ai preti”, ma il Convegno era articolato in maniera diversa e non prevedeva il confronto. Osservo, intanto, che i tempi sono tumultuosamente cambiati e sarebbe bizzarro, oggi, riprenderli, come nostalgia, in un mondo in cui è cambiato tutto e   una seria   riflessione, alimentata dal coraggio, ha bisogno di un approfondimento ponderato che lascia poco spazio alla propaganda. Mi promisi, quindi, di esprimerLe   il mio  pensiero sulle tematiche da Lei poste di straordinaria importanza, qualunque sia il punto di osservazione.

Penso, davvero, che nell’incontro di Villapiana Lei abbia   posto un tema essenziale e grande quanto una montagna; un tema terribilmente centrale  anche  per la sua attualità: i “ceti politici” rampanti, frutto della mediocratizzazione della società, non pensano e l’unica preoccupazione è quella di gestire con spirito di mafiosità, una  politica ridotta  a tecnica dominata dai  comitati d’affari: l’unica forza che ha unificato il territorio nazionale è la mafia fattasi Stato.

Io non so, Eccellenza, se siamo entrati - come Ella diceva -  in una fase “post-umana”; e non so dare una risposta ad un tema che si   pone   come scommessa sul futuro. So, però, di certo, che ci troviamo in un passaggio d’epoca.  La mondializzazione  e le sue crisi, con l’avvento della rivoluzione scientifica e l’uso totalizzante delle nuove tecnologie, cambia tutti i termini della “questione meridionale”. Giovanni Russo Spena (marxista - cattolico) - in un suo articolo pubblicato nell’ultimo numero di “Sinistra Meridionale” che in questi giorni sarà in distribuzione - richiama Bruno  Amoroso,  con cui per molti versi mi trovo d’accordo nell’analisi, afferma che il Sud non è un’appendice secondaria, emarginata da una Unione Europea  sempre più  oligarchica e funzionante a più velocità  in base ai rapporti di forza. Io, aggiungo, che bisogna andare più avanti nell’approfondimento dell’analisi per non arrivare tardi rispetto agli eventi, che ci potrebbero procurare, dopo un sonno da incubi,   un amaro risveglio. Il Suo richiamo al “post-umano” può essere un altro stimolo per un’approfondita discussione. Non bisogna sottovalutare il fatto che siamo di fronte, come dice un altro dei nostri assidui collaboratori di Sinistra Meridionale – Giacomo Schettini – al dominio, soprattutto, del capitale finanziario che interviene con   politiche distruttive nei confronti dei più deboli, delle aree depresse del Mezzogiorno rispetto all’Europa, non tanto  con l’ “assistenza” ma addirittura con l’ “espulsione”. Ciò significa che la mondializzazione capitalistica non porta più nemmeno “dipendenza” (come abbiamo esaminato in precedenza),  ma porta alla  “separazione”. Cambiano, così, i termini della “questione meridionale”, che non possono essere più legati al classico rapporto distorto tra sviluppo e sottosviluppo, ma essi vanno visti in rapporto al Mediterraneo in cui si affacciano gli “altri Sud” penalizzati dalla mondializzazione. E’ in questo bacino, ove si  concentrano  le povertà, che la crisi del capitalismo mondializzato ha prodotto, che bisogna formare un nuovo “blocco storico” capace di costruire un’altra Europa  basata su un’equa distribuzione delle risorse e sul rispetto dei diritti di tutti, come  alternativa all’Europa carolingia.

In questa prospettiva, però, un punto focale dovrebbe essere messo al centro della politica e della riflessione: di fronte ad un passaggio d’epoca, in cui la tecnica e la scienza rischiano di sopravanzare la stessa economia, se non si ricollocasse l’uomo al centro dell’organizzazione e del governo delle risorse, ci troveremmo di fronte ad un “rovesciamento della qualità dell’esistenza”. Già oggi, una “mega-macchina”, costituita dal connubio economia/ scienza che si sviluppa  vertiginosa  -  anche usando i mass media, portatori di messaggi distruttivi che bombardano i cervelli, creando un’egemonia della violenza, dell’odio contro il “diverso”, dell’espandersi di sentimenti xenofobi ­ -  svuota l’uomo e lo rende passivo e subalterno. E le nuove tecnologie, che in precedenza erano finalizzate alla selezione e all’efficientismo del mercato, se prendessero il sopravvento sui processi economici e sulla politica, l’omologazione delle culture e del plurilinguismo e la costituzione del “pensiero unico”, finirebbero per trasformarci   in  “un popolo delle scimmie” abitanti di una società di mostri.

E’ questo l’incubo che incombe su tutti noi, di destra e di sinistra, cattolici   o non credenti.  Ed è da qui che bisogna partire per trovare, al di là delle posizioni filosofiche e politiche che ognuno difende, un terreno di riflessione comune su dove sta andando  l’umanità e tentare di dare una risposta plausibile per una visione del mondo che sia opposto a quella dell’egoismo e della violazione dei diritti dell’uomo. Tempo fa ho letto un importante  saggio del carissimo “compagno d’armi” Antonio di Diego – così come veniva fuori anche a Villapiana dalla eccellente relazione di Gianni Mazzei, intellettuale organico alla realtà in cui vive e che fa della “ricerca delle fonti” uno degli elementi caratterizzanti la scientificità del suo impegno culturale - che mette a confronto la validità del pensiero marxista con  l’efficacia dell’’enciclica ultima di Papa Francesco “laudato si’..”; ho potuto notare che, nell’idea in esso contenuta, sui punti fondamentali della vita umana, cattolici e marxisti possono convergere: la centralità dell’uomo, la disumanità del capitalismo che genera scarti, la tecnologia che progredisce con un ritmo così vertiginoso che rende l’uomo frastornato, alienato e marginale. Sono aspetti che anche la Chiesa ha affrontato con la teologia della liberazione, nei grandi riquadri del Concilio vaticano secondo, con la pacem in terris, gaudium et spes, e in special modo, con la populorum progressio che si concludeva con quel grido angosciante: “i poveri diventano sempre più poveri, e i ricchi sempre più ricchi”! Questo Papa sembra voler allargare il discorso in senso planetario, oltre l’aspetto economico sociale e politico per ribadire la centralità dell’uomo; la difesa delle minoranze, sia a livello linguistico, che a livello di ogni forma di vita, flora e fauna; il senso di appartenenza e rispetto della cultura e modalità di organizzare il lavoro senza sconvolgere l’equilibrio della natura. Tutti argomenti, questi, che possono essere stimolo per un approfondito confronto. Tutto il pensiero laico, marxista o cattolico, può diventare, ed è qui la proposta, coagulo per un nuovo sentire della “questione meridionale”, anzi della questione di “ogni sud” del mondo che, passando per il crocevia del Mediterraneo , possa trovare momenti di equilibrio e dialogo tra popoli e modalità di sviluppo autocentrato. Queste argomentazioni sono emerse già nel Convegno tenutosi a Cassano, considerato cuore della Magna Grecia, in cui è stata lanciata dall’Istituto Mezzogiorno Mediterraneo, la proposta della “Regione jonica”, come specificità nel Mediterraneo.  A questa   proposta, io penso non possano rimanere estranee le due Diocesi, quella   di Cassano ( la cui Amministrazione comunale, rappresentata allora dal Sindaco Papasso, ha espresso giudizi positivi , accogliendo l’iniziativa nel Museo Archeologico dell’apposito convegno),  e quella di Lungro che richiama un’altra componente importante della identità mediterranea, che è quella greco-albanese e a cui gli arbėresh fanno riferimento.

Come elemento conclusivo voglio segnalare di  aver  ascoltato con grande attenzione il Suo ragionamento sull’”uomo artificiale” che si intreccia fortemente con questa mia preoccupazione  su “dove sta andando il mondo?”

Faccio fatica a pensare   cosa   potrebbe diventare il mondo se non si   gestisse in modo nuovo il processo in atto   che è contrassegnato   da una contraddizione che denota anche un’estrema debolezza: nel più alto punto di crisi del capitalismo mondializzato, è venuta meno una forza politica (la sinistra) capace di rappresentare un’altra visione del mondo.

Mi consentirà, Eccellenza, di   ricordare  le previsioni profetiche di Antonio Gramsci nell’affrontare il tema della “crisi organica”, gravida di rischi per il futuro democratico del nostro Paese, per l’Europa e il mondo. La “profezia” sulla pericolosità degli sbocchi della “crisi organica”, se non si cambia paradigma, diventa di assoluta attualità. Se nella fase che attraversiamo, il “vecchio” è morto e il “nuovo” non può nascere, è perché la classe dominante ha perso il consenso, cioè non è più “classe dirigente”, ma solo “dominante” che detiene la pura forza coercitiva. Ciò significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali; non credono più a ciò in cui prima credevano. In questo contesto si sviluppa una dialettica “che non rimanda ad un semplice rapporto basato sulla forza, ma ad un dominio che ruota attorno al nesso forza/consenso”. Se il “nuovo” – così come sta avvenendo –  tarda a sostituire il “vecchio”, quest’ultimo e quello che avrebbe dovuto sostituirlo, si trovano a convivere in una situazione di scetticismo verso tutte le teorie e le formule generali, creando una situazione in cui “destra” e “sinistra” si confondono ed assumono assieme una linea politica ed un agire concreto contro la struttura democratica dello Stato, contro i diritti, contro ogni forma di equilibrio costituzionale e di opposizione; ogni vincolo morale e tutti i paletti di correttezza formale sono divelti, creando una situazione pericolosissima in cui tutti i demoni balzano sul proscenio. Turba il fatto che gli intellettuali, soprattutto quelli meridionali, abbiano abdicato al loro ruolo di forza che, in maniera organica, rappresentino gli interessi del popolo più debole. La stessa Chiesa è in fibrillazione. Papa Francesco, quando parla dell’uomo da mettere al centro delle scelte  economiche, contro l’egoismo e il capitalismo che genera “scarti”, tratta tematiche e ragioni che storicamente sono state dentro i temi della sinistra. Non è un caso che nei momenti più aspri dei rapporti nei centri di potere della Chiesa, siano nate, al di dentro della stessa, esperienze importanti del cattolicesimo di base: le organizzazioni di volontariato, per esempio, che ho potuto conoscere nella loro   opera straordinaria - quale Presidente del Comitato per i diritti umani   della Camera dei Deputati­­ -  e che mi ha consentito, girando gli angoli del mondo, di indignarmi sulle disumane   povertà e   violente   ingiustizie del mondo. Soprattutto in Africa ho visto morire bambini per inedia, accarezzati amorevolmente da splendide ragazze del volontariato cattolico, con cui ho stabilito rapporti di   solidarietà e intesa comune. Una attività preziosa, mentre nella Cooperazione internazionale si faceva man bassa delle risorse e si creavano inaudite fortune personali sulla pelle dei poveri del mondo. Ancora Papa Francesco, forse riecheggiando alcune esperienze della “teologia della liberazione” che ha caratterizzato la storia migliore dell’America latina contro la miseria e le dittature, torna sul tema delle povertà e della necessità di cambiare i meccanismi dello sfruttamento. Su questa strada, vescovi straordinari hanno lasciato la   loro vita  -  freddati dagli scherani degli agrari o dalla voracità della mafia -  per questa causa: Monsignor Camara, Romero e tanti altri, sono i simboli di questa battaglia contro la miseria.  Considero un privilegio – per fare un esempio personale – l’aver avuto modo di parlare a lungo con un Vescovo straordinario, Monsignor Samuel Ruiz, asserragliato nella Cattedrale con i suoi fedeli che lo proteggevano,  nella capitale del Chapas, San Cristobal des Las Casas, che mi motivava le ragioni profonde che stavano alla base della lotta degli zapatisti per la terra e per la difesa della loro identità; ciò “rendeva naturale”  la sua decisione di sostenere il movimento e il loro “dirigente con il passamontagna”, Vice comandante Marcos ( tutti sussurravano sottovoce, nella Selva La Candona, che il Comandante fosse proprio lui!).

Lei converrà con me, però, che le parole del Papa hanno un valore simbolico; costituiscono un richiamo morale, certamente di grande importanza, ma è la politica che deve fare la sua parte,  ed è questo ciò che manca.

In questa realtà, gli sbocchi di questa crisi sono sicuramente una incognita; è un problema che crea angoscia, soprattutto nelle  nuove generazioni.

C’è da dire, però, conclusivamente – e lo ricordo non come dato di contrapposizione, ma come elemento di riflessione – che il reale sviluppo della storia, dà ragione all’analisi di Marx, approfondita da Gramsci. La scienza storica liberale è fallita. La produzione e lo scambio delle merci guardano al “profitto” e non agli “uomini”. La teologia del mercato è concepita avulsa dal processo storico generale della civiltà. I risultati disastrosi che viviamo quotidianamente dimostrano una realtà drammatica in cui   il meccanismo messo in atto sta soffocando l’uomo.  Si evidenzia sempre più - e si coglieva anche nel Convegno su Pizzulli - che il “socialismo” è umanesimo integrale: “studia, nella storia, tanto le forze economiche che le forze spirituali; le studia nelle interferenze reciproche, nella dialettica che si sprigiona dai contrasti inevitabili tra le classi di chi sfrutta l’uomo e l’ambiente e la classe dei deboli, senza mezzi, che viene subordinata ai suoi interessi; tornano ad echeggiare termini antichi: conservazione e restaurazione. Quello che avviene, oggi, passa dalla funzione passivizzante e da una azione di mediocratizzazione delle menti: siamo travolti dall’illusionismo, dalla demagogia, dalle menzogne più plateali; dalla corruzione che penetra “molecolarmente” nelle viscere della società; dall’egoismo più sfrenato che fa della teologia del possesso del denaro lo strumento di ogni bruttura. Tutto ciò non è casuale. Non si tratta di accidenti secondari della struttura economica e del potere, ma sono profondamente connaturati al disordine, allo “scatenamento di brutali passioni”, alla feroce concorrenza che la società capitalistica mondializzata produce.  Mi chiedo – e lo chiedo anche all’intelligenza che esprime il Suo ragionamento sentito al Convegno - : è possibile abolire questo scempio (alimentato anche dal  trasformismo), insito nel meccanismo capitalistico, senza abolire la struttura che lo genera? No! “La vita degli uomini, la conquista della civiltà, il presente, l’avvenire sono in continuo pericolo” perché sono insiti nelle ragioni del profitto che ci ricorda come la storia del mondo continua ad essere   una storia di lotta tra classi.

Io ritengo  che –  ed è questo, con ogni probabilità, anche il punto di discrimine del mio punto di vista,  che vorrei  confrontare col Suo – le discussioni, gli strumenti culturali, la moralità, l’uso della scienza, i “se”, i “ma”, diventano parole vuote se la mondializzazione finanziarista, dissolve “ogni rapporto di interesse generale”; rende cieche e torbide le conoscenze; se la legge regolatrice è la tangente; se per  ingordigia ed avidità di possesso, distrugge l’”humus” della nostra vita ( si incendiano i boschi e si inquina l’ambiente) e si arrivano ad eliminare fisicamente (un metodo spaventoso e barbaro) 4000 bambini al giorno (notizia riportata da tutta la stampa internazionale) delle favelas di Rio per ospitare in un “clima sereno” una olimpiade sportiva. Il profitto uccide pure la pietà!  Credo con onestà profonda, Eccellenza, (e questo riscontro anche nel Suo discorso sul “post-umano”), che l’umanità è davanti ad una secca alternativa: o socialismo o barbarie!  Una scelta senza appello, indotta anche dall’ultima tragedia che si approssima: il capitalismo mondializzato, per affermare il suo potere, ha bisogno della guerra, distruttrice di uomini e cose. Come accennavo all’inizio, siamo alla terza guerra mondiale, a pochi km da noi ed è una guerra combattuta senza pietà tra “missili intelligenti” e autodeflagrazione di “terroristi” che rispondono in questo modo alla rapina delle risorse dei loro Paesi. Si tratta di una lotta disperata e senza sbocchi che, comunque, intanto miete vittime innocenti e fa stragi di bambini.

E’ su questo che la mia “religione”, indignandomi con la stessa passione degli anni giovanili contro la guerra scatenata in Medio oriente – a cui  l’Italia partecipa in violazione dell’art.11 Cost. – ritorna ad essere la storia; la “fede” ritorna ad essere l’uomo e la sua volontà di unirsi  agli  altri uomini per cambiare questo mondo, in cui urlano  tutte  le ingiustizie, con un altro mondo ancora possibile.

La ringrazio, se avrà la curiosità di valutare queste mie osservazioni e se mi darà la possibilità per ulteriori confronti.  Intanto,  La invito, sin da ora, a partecipare alle prossime edizioni degli “Itinerari gramsciani”, nel corso dei quali  si discuterà sulla praticabilità della proposta di una “Regione jonica” nel Mediterraneo.

Con ogni cordialità e stima

                                                                                                       On. Mario Brunetti

Cosenza 28/03/2016