Risposta a Luigi Berlinguer inerente il ruolo delle minoranze linguistiche

LUIGI BERLINGUER, GRAMSCI E LA MINORANZA ALBANESE

Lo stupore è stato grande, vedendo l’articolo di Luigi Berlinguer su L’Unità del 27 febbraio dal titolo “Antonio Gramsci, l’albanese”. Con Luigi, proprio discutendo della legge di salvaguardia delle minoranze linguistiche, a cui lui fa riferimento (io presentatore della proposta in Parlamento e lui Ministro) vi furono positive frequentazioni nel corso delle quali si sono stabiliti rapporti di stima ed amicizia, spero reciproci. Ciò mi consente di esprimere alcuni giudizi nel merito e, soprattutto, sottolineare con chiarezza alcuni punti di dissenso.

Dico subito che l’inatteso articolo dell’ex Ministro mi ha lasciato “con gli occhi sbarrati come un montone”; e siccome la sorpresa è come l’uovo da cui, come diceva H.F. Amiel ( faccio anch’io una citazione dotta!) da esso può  uscire un serpente piuttosto che una colomba. In questo caso credo che la sorpresa sia positiva: è la prima volta, infatti, dai tempi del PCI e, via via, dalle successive discendenze botaniche dello stesso, che un dirigente – a livelli alti – dei comunisti italiani esprima un giudizio positivo sulla necessità di difendere il plurilinguismo che costituisce “una delle condizioni sostanziali delle democrazie”. Già, è la prima volta!

Dal “Comitato dei 75” nella Costituente in poi, il Partito fondato da Gramsci, convergeva coi discendenti missini del fascismo e con il Partito repubblicano, nel porre ostacoli al riconoscimento delle minoranze. Il compromesso nella Costituente fu quello di riconoscerne il diritto con l’art.6 Cost., demandandone, però, la applicazione ad “apposite norme” per le quali ci vollero ben 50 anni perché venissero emanate:  la l.482/99 ( e non la n.382 richiamata da L. Berlinguer nell’articolo, evidentemente per errore), definendo le richiamate norme, stabilisce, finalmente, un quadro giuridico che riconosce e definisce norme di salvaguardia per 12 minoranze interne al nostro Paese, tra cui la minoranza italo-albanese, presente in Italia sin dal XV sec. ed allocata in 5 Regioni del Mezzogiorno d’Italia. Luigi Berlinguer, stupendosi della vivacità di questa minoranza - in un giro in Basilicata e Calabria – si impegna ad aiutare il rispetto della legge.

Partiamo, quindi, dalla l.482/99, approvata anche grazie ad un impegno tignoso e costante del sottoscritto e del collega Maselli ( venuto meno proprio in questi giorni, a cui va il mio pensiero affettuoso) che fu il solerte relatore della stesura finale. In questo momento i sostegni alle minoranze sono indispensabili, tanto più che sta andando avanti un processo che cancella ogni struttura democratica della nostra Costituzione e rende nulli i contropoteri che facevano della stessa uno degli sforzi di alta ingegneria giuridica che i Costituenti erano riusciti a sintetizzare, precisando diritti, doveri ed identità del popolo italiano. Non possiamo nasconderci che, dentro un rapido processo di mediocratizzazione della società, il vuoto mentale dei dirigenti e il loro retroterra, arido e cespuglioso, fanno emergere l’autoesaltazione di un rampantismo politico senza fine che può crescere e vivere soltanto se si rompono gli equilibri costituzionali e democratici, per poter governare in una condizione in cui si costruisce il dominio, ma non si ha la legittimità del consenso. In questo contesto, il problema delle minoranze linguistiche e del rispetto dei loro diritti è in contrasto con l’apologia personalistica che marcia speditamente verso un populismo peronista, che ha come sbocco una Repubblica presidenziale. Come in tutti gli autoritarismi, le minoranze e il pluriculturalismo,  rischiano la fine. Il problema, allora, delle minoranze non è quello di ritagliarsi un puro e semplice spazio culturale da difendere, ripetendo le esperienze delle riserve indiane: ciò può anche essere tollerato ed aiutato. La storia ci insegna che una volta “feste,farina e forche” costituivano i mezzi per cancellare le ragioni del popolo con un po’ di folclore. Così come oggi si lascia esaurire una lingua, una cultura, una storia, facendo tintinnare qualche lustrino e un po’ di tamburelli.

In verità, saremmo gravemente responsabili se anche per le minoranze non si cambiasse paradigma. Ossia, ridefinire, facendo tesoro della storia della minoranza arbëreshe, un ruolo che metta a frutto la storia unitaria di questo popolo che ha voluto l’Unità d’Italia e l’Indipendenza dell’Albania. A questo proposito, vanno precisate almeno due questioni.

  • La l.482/99 viene letteralmente sabotata dalla sua nascita da tutti i Governi che si sono succeduti. Le tre fondamentali norme di salvaguardia: scuola,comunicazione attraverso i mass media, garanzia di presenza nelle istanze istituzionali sono totalmente ignorate. La riforma scolastica cancella, completamente, la possibilità che venga introdotto l’insegnamento previsto, con la chiusura delle scuole delle zone interne ove sono ubicati pressocchè tutti i paesi albanesi, ormai desertificati; l’obbligo previsto per le trasmissioni televisive è stato ignorato sin dall’inizio, escludendo dagli Accordi di programma tra Governo e RAI, la lingua di minoranza; le leggi elettorali non hanno neppure accennato ad una norma che obbliga di operare per la garanzia delle rappresentanze; e via discorrendo.
  • Il punto politico che mi interessa di più chiarire è la ripetizione, anche nell’articolo di Luigi Berlinguer, della litania su un Gramsci “oriundo albanese” fuggito dall’Epiro, “prima o dopo il 1821”. E’ una vera mistificazione di cui pubblicherò le ragioni. Ai fini di una conoscenza della realtà, ricordo che i primi documenti con il cognome Gramsci risultano apparsi in alcuni atti sin dal 1600. Le date più vicine a noi sono quelle di Nicola Gramsci nato a Plataci nel 1765( ben prima, quindi, del 1821); Gennaro Gramsci, di Nicola ( nonno di Antonio Gramsci) nato a Plataci il 1810 e che si trasferisce a Gaeta per ragioni militari; Francesco Gramsci (padre di Antonio) nato a Gaeta nel 1860; infine Antonio Gramsci – nato a Ales nel 1891.

Prendendo per positiva la dichiarazione di Luigi Berlinguer di volersi impegnare “in questi mesi a favore, appunto, della minoranza albanese nel Sud d’Italia”, possiamo assieme lavorare perché non si disperda un patrimonio prezioso, quello della minoranza arbëreshe nel Mezzogiorno, unico esempio in tutta Europa, che può essere, oggi, utilizzata come tramite di un rapporto pacifico nell’area del Mediterraneo.

Non bisogna dimenticare che Mezzogiorno – Arberesh – Risorgimento sono storicamente una simbiosi della analisi gramsciana. La vera novità – di cui i libri di testo non parlano  e che è stata dalla storiografia ufficiale puntualmente ignorata -  è  che la presenza degli italo-albanesi, insediatasi più di 5 secoli fa, sono stati un elemento di amalgama e di unità nel travagliato Mezzogiorno d’Italia. Proprio gli arbëresh hanno mobilitato e diretto i movimenti popolari in tutta una fase storica e sino a Teano, ove si sono sentiti traditi perché l’obiettivo della distribuzione delle terre ai contadini non veniva rispettato. La lingua, il rito religioso, i costumi e la storia hanno costituito l’identità “altra”  di un popolo la cui diversità ha fatto da collante per la loro presenza collettiva in tutta la vicenda risorgimentale. Essi hanno costituito la componente repubblicana del Risorgimento ed ottimi frutti ha avuto il loro rapporto con Pisacane e Benedetto Musolino. Largo è stato il tributo di sangue che hanno dato all’Unità d’Italia. Il problema della terra è stato il punto della loro totale mobilitazione; ed è stata anche causa della loro delusione. Da Bronte, ai Fasci Siciliani di Barbato, al trasformismo di Crispi ( anch’egli italo-albanese) e, via via, Portella delle Ginestre, Melissa sono stati costanti elementi di direzione collettiva. Forte è stato il contributo di patrioti e intellettuali: dei 5 membri del Primo Direttorio di Garibaldi, tre di essi erano arbëresh. Pasquale Scura è stato il grande giurista che ha scritto il primo articolo del Plebiscito: “Italia, una e indivisibile”. Anni dopo Costantino Mortati ha partecipato attivamente alla scrittura di articoli importanti della Costituzione italiana. In buona sostanza, il patrimonio di idee e  di lotte, seppure ignorato, è stato enorme ed esaltante. Il simbolo di queste lotte e di queste idee si chiama Antonio Gramsci.

Aggiungo due elementi di valutazione che motivano la decisione di individuare, nell’idea presentata dall’Istituto Mezzogiorno Mediterraneo di una “Regione jonica”, la minoranza italo-albanese quale tramite per i rapporti tra l’Italia Meridionale – Mediterraneo –Balcani. Il primo è il codice linguistico di queste minoranze che rimane identico dopo secoli, ad un’area balcanica molto vasta ( Albania, Kossovo, Montenegro,Macedonia,ex Epiro del Nord, parte della Grecia). Il secondo è costituito dalla straordinaria storia unitaria di cui sono portatori, per aver partecipato , da una parte  - a livello di massa - al movimento per l’Unità d’Italia e, dall’altra per aver contribuito attivamente , diventando tramite con l’Europa, alla proclamazione dell’Indipendenza dell’Albania nel 1912.

E’ questo bagaglio di culture e di storie che deve essere giocato a livello europeo ed internazionale . E’ questa la nuova ricollocazione del ruolo storico che hanno sempre avuto gli italo-albanesi. La citata visita di Luigi Berlinguer - riportata dalla stampa - non dà conto di questo problema così importante per l’Italia. Nei suoi incontri, infatti, non si è parlato né della proposta della “Regione jonica”, né della necessità di utilizzare questo grande patrimonio italiano in una politica verso i Balcani.In questo modo, le iniziative, seppure caratterizzate ( come avviene sempre) da grande vivacità, sono finite per diventare scampagnate simpatiche, ma rientranti nella logica della “riserva”.E questo, forse, anche per un’imprudenza dell’Ambasciatore albanese, oggi rientrato in patria.