Le complicità – i rapporti internazionali – la Somalia

Creano clamore e sacrosanta preoccupazione nelle popolazioni le notizie di stampa sulla massiccia presenza di scorie radioattive e inquinanti in Calabria. Si parla, oggi, della “collina della morte” ad Aiello e del relitto di una “nave a perdere”, imbottita di fusti pieni di veleni, al largo di Cetraro, ma, in realtà, la Calabria intera è diventata, nel corso degli anni, la “pattumiera” di rifiuti tossici e radioattivi che, come si sa, rimangono attivi e velenosi per migliaia di anni e rischiano di mettere un’ipoteca sul futuro. Sono cose che dovrebbero essere note. Per questo è forte la rabbia contro lo stupido egoismo di chi – forze criminali e complici politico-istituzionali – ha disseminato l’ambiente in cui viviamo di veleni che fanno rimanere esterrefatti di fronte a questa inciviltà autodistruttiva. È lo sgomento per questa drammatica prospettiva che mi ha portato a richiamare, quasi con puntiglio ossessivo, nel corso della mia attività politica e parlamentare, l’attenzione su una problematica che andava sconvolgendo, drammaticamente, il Mezzogiorno e particolarmente alcune aree della nostra Regione. Gli atti della Camera dei Deputati ne registrano la testimonianza. Purtroppo, vari interventi parlamentari e, soprattutto, la proposta di una specifica Commissione d’inchiesta “sui rifiuti nocivi e sulle attività illecite connesse in Calabria e nell’Alto Jonio” presentata alla fine degli anni ’90, lasciarono insensibili i vari Governi e, purtroppo, le istituzioni locali, sebbene si precisasse la pericolosità, nel concreto, del sito ENEA della Trisaia a Rotondella, a ridosso della nostra Regione.

L’emergere clamoroso delle notizie di questi giorni – di cui va dato merito a coraggiosi magistrati di trincea – confermano, per intero, quelle preoccupazioni. Come certi appaiono, ormai, i collegamenti internazionali. Sarebbe interessante, sotto questo aspetto, rileggere gli atti (e i verbali secretati) della Commissione di indagine sulla cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, del 1994, di cui ho fatto parte (altra cosa è la Commissione di indagine su Ilaria Alpi e Miran Hrovatin che ha teso a chiudere, più che a disvelare problemi), che potrebbero dare importanti elementi di valutazione sull’intreccio malacooperazione, traffici criminali, servizi segreti, equivoco comportamento della presenza militare italiana in Somalia. La stessa lettura dei verbali della contrastata visita della Commissione a Mogadiscio e a Gibuti per raccogliere notizie e testimonianze sull’esecuzione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sarebbe istruttiva in rapporto anche alle rivelazioni di oggi che confermano alcune ipotesi di allora. Qualche stralcio di quei documenti, che indagano sulla cooperazione italiana nel Corno d’Africa, viene ripreso nel mio libro “Le cose del mondo” in via di pubblicazione.

È urgente, dunque, fare chiarezza su un intrigo così importante e drammatico, tornato d’attualità in questi giorni, non solo per debito verso le popolazioni e le generazioni future, ma anche per sottolineare la colpevole irresponsabilità di chi è rimasto pavido e indifferente, senza scomporsi più di tanto, di fronte alle ripetute denunzie delle devastazioni che incombevano sul Mezzogiorno e la Calabria, considerate, anzi, qualche volta, come attività “allarmistica”.

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